Il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale è considerato lavoro se la prestazione va eseguita nell’ambito della disciplina d’impresa

Il tempo che serve per indossare la divisa aziendale, anche se relativo alla fase preparatoria del rapporto, deve essere retribuito laddove la relativa prestazione, benché accessoria e strumentale rispetto a quella lavorativa, vada eseguita nell’ambito della disciplina d’impresa e sia esigibile dal datore di lavoro. Così ha disposto la Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 2965/2017, pronunciandosi sul ricorso di alcuni dipendenti di un’azienda produttrice di gelati e surgelati che agivano in giudizio per ottenere il riconoscimento della retribuzione per il tempo impiegato per indossare e togliere gli abiti imposti dal datore di lavoro (tute, scarpe antinfortunistiche, copricapi, ecc.).

Perdendo in primo grado, i dipendenti vedevano riconosciuto, limitatamente ad un periodo non ritenuto prescritto, il diritto al pagamento per il tempo delle operazioni di vestizione e svestizione dal giudice d’appello che ne considerava “il carattere necessario e obbligatorio per l’espletamento dell’attività lavorativa, e lo svolgimento sotto la direzione del datore di lavoro”, determinando anche la durata di tali attività, “facendo ricorso a nozioni di comune esperienza, in dieci minuti per ognuna delle due operazioni giornaliere (vestizione e svestizione), commisurando quindi il compenso dovuto alla retribuzione oraria fissata dal contratto collettivo applicabile”.

Sia i lavoratori che l’azienda si rivolgevano quindi al Palazzaccio. I primi per vedere riconosciuto anche il periodo prescritto, la seconda dolendosi del fatto che il collegio territoriale avesse considerato come lavorativa l’attività preparatoria consistente nell’indossare la divisa.

Gli Ermellini, accolgono solo uno dei motivi proposti dai lavoratori (relativamente alla validità ed efficacia dell’atto di costituzione in mora sottoscritto dal legale degli stessi ad interrompere il decorso della prescrizione), mentre ritengono infondato il ricorso aziendale. Richiamando i principi più volte affermati dalla giurisprudenza della S.C. (cfr. ex multis Cass. n. 19358/2010) e da quella comunitaria (cfr. Corte Giust. causa C-151/02), affermano che nel rapporto di lavoro si può distinguere “una fase finale, che soddisfa direttamente l’interesse del datore di lavoro, ed una fase preparatoria, relativa a prestazioni od attività accessorie e strumentali, da eseguire nell’ambito della disciplina d’impresa (art. 2104 c.c., comma 2) ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro, il quale ad esempio può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria”. Conseguentemente, il tempo necessario ad indossare la divisa aziendale rientra nell’orario di lavoro (e allo stesso deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva) “se è assoggettato al potere di conformazione del datore di lavoro; l’eterodirezione può derivare dall’esplicita disciplina d’impresa o risultare implicitamente dalla natura degli indumenti, o dalla specifica funzione che devono assolvere, quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell’abbigliamento”.

Cassazione, sentenza n. 2965/2017 

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